I farmaci biologici approvati potrebbero essere più efficaci della chemio?…
Gentilissimo dott. Buccheri,
mi permetto di scriverle perché non sono riuscito a trovare una risposta al mio dubbio all’interno dell’area di discussione “IL MIO CASO”.
A mio padre, 68 anni, qualche settimana fa, è stata confermata la diagnosi di carcinoma scarsamente differenziato (non oats-cells) in stadio avanzato, tramite biopsia. Purtroppo, dalla TAC totalbody sono emerse delle formazioni nodulari ai surreni e al fegato, oltre quelle a livello polmonare, nonché la presenza di piccole aree pseudonodulari compatibili con metastasi a livello encefalico (diametro max 12mm).
Ci siamo rivolti al reparto oncologico di Reggio Calabria, la città in cui viviamo, per un discorso di tempestività, oltre che logistico: nei circa due mesi che sono passati dal primo ricovero agli esiti della biopsia (dopo essere stati rimbalzati tra vari reparti e ospedali), le condizioni generali di mio papà sono peggiorate, anche a causa di un’anemia; per cui, sostenere un viaggio verso centri più attrezzati sembrava risultare troppo faticoso per lui.
Dopo aver valutato il quadro clinico, in un paio di giorni, l’oncologo ha optato per una chemioterapia urgente da lui definita “a basso impatto” che, da una sua relazione, risulta essere “chemioterapia a scopo palliativo con Gemcitabina”. Non ci è stato comunicato nulla relativo ad esami sui marcatori tumorali, né a test per eventuali mutazioni genetiche (EGFR), per cui dubito siano stati effettuati.
Sono pienamente consapevole della gravità della situazione, ma al tempo stesso vorrei lottare almeno per il miglioramento della qualità della vita che resta a mio papà.
Visto che non mi risulta dalle sue classifiche che il centro oncologico della mia città si segnali per terapie sperimentali particolari, né per particolari eccellenze, le chiedo: pensa che i farmaci biologici approvati di cui molto si parla sul sito, possano rappresentare un’alternativa alla chemio con Gemcitabina da tentare in questo caso (sempre a patto che sussistano i requisiti genetici)?
Eventualmente, c’è qualcos’altro che può essere opportuno considerare in casi come questo?
Spero che le sue risposte possano essere utili anche ad altre persone che si trovano in situazioni analoghe alla mia, per cui assolutamente la autorizzo alla pubblicazione della mia mail sul sito.
La ringrazio molto per la sua disponibilità e per il suo impegno sociale,
cordialmente,
Daniele Sofia
Caro Daniele,
lei mi pone una domanda molto secca cui non posso non dare una risposta semplice e diretta:
SI, I FARMACI A BERSAGLIO MOLECOLARE DANNO UNA QUALITA’ DI VITA E UNA PROBABILITA’ DI SOPRAVVIVENZA DI GRAN LUNGA MIGLIORE DI QUALUNQUE CHEMIOTERAPIA NEI SOGGETTI CON LE SPECIFICHE MUTAZIONI TUMORALI.
In paratica, oggi, fra le terapie mirate possibili vi è il Gefitinib (o Erlotinib e Afatinib), in prima linea, in caso di presenza di mutazione EGFR e il Crizotinib in prima linea per la traslocazione ALK. Troverà il link alle schede farmacologiche e a tutti gli articoli che abbiamo scritto in merito a quei farmaci visionando la pagina introduttiva ai nuovi farmaci, cui si arriva facilmente dalla home page del sito: https://www.alcase.it/educational/premessa-farmaci-mirati/.
C’è da dire che la massima probabilità di trovare queste mutazioni (e, conseguentemente, di poter instaurare un trattamento mirato) si ha negli adenocarcinomi e nelle persone giovani, possibilmente di sesso femminile, che non hanno mai fumato… Tale identikit non corrisponde molto a quello di suo papà, ma a parere mio i test andrebbero comunque fatti onde evitare di perdere la possibilità di cambiare una storia che, lasciata a sè (chemio o non chemio), non è purtroppo molto favorevole.
Cordialmente,
Gianfranco Buccheri

Il Dr. Gianfranco Buccheri, al congresso mondiale sul cancro del polmone (Sydney 2013), in un momento di pausa...