Operare il polmone pur in presenza di una grossa metastasi ossea?…
Buongiorno dottore,
Le scrivo complimentandomi prima di tutto con voi per il supporto che date a chi è ammalato e ai familiari che qui hanno un punto di riferimento importante.
Mi rivolgo a lei per il caso di mio padre 59 anni ex fumatore con adenocarcinoma non a piccole cellule apicale al polmone di 2,2 cm ma soprattutto una metastasi ossea a livello di d12- l4 che è stata ridotta chirurgicamente il 25 maggio scorso per stabilizzare la vertebra in quanto a forte rischio frattura. La metastasi è di grandezza 6 cm circa. L’ indagine istologica dei campioni ossei ha evidenziato una positività per chitocheratina- pan e ck7 e negatività perck 20 e ttf-1 .
La terapia adottata è stata inizialmente una radioterapia sulla metastasi con acceleratore lineare a fotoni x in 5 frazioni da 400 cgy l’ una.
Successivamente chemioterapia cbdca + txl + avastin iniziata il 25 giugno con sedute ogni 21 GG .
L’ oncologo dell’ ospedale di Pisa dove è in cura ha prospettato di continuare la chemioterapia per altre sedute e non ha parlato di altri farmaci biologici di seconda linea.
Volevo farle due domande:
Secondo il suo parere non è possibile utilizzare altri farmaci biologici o immunologici tipo iressa? E soprattutto alla mia domanda se è possibile operare il polmone/ metastasi mi ha risposto che tecnicamente è possibile ma che non ha convenienza terapeutica.
Un intervento chirurgico sul tumore se fattibile può allungare la vita del paziente e migliorarla?
La ringrazio di cuore per il lavoro prezioso che svolge con cuore ma anche onestà intellettuale.
Luca Panerini
Caro Luca,
ti ringrazio, innanzitutto, per le gentili parole che mi danno forza e motivazione.. e vengo subito al dunque. La tua domanda è: “ha senso operare e portar via il piccolo tumore primitivo del polmone, pur in presenza di una grossa metastasi ossea?…”.
Mi spiace affondare le tue speranze, Luca, ma la mia risposta è quella che ti hann già dato i tuoi oncologi. Portare via il piccolo tumore al polmone non modificherebbe in alcun modo la prognosi, ma esporrebbe il tuo papà ad un intervento inutile e potenzialmente pericoloso. Su questo c’è un accordo generale fra gli oncologi di tutto il mondo. Infatti, la metastasi (che, nel caso del tuo papà, contiene molte più cellule tumorali potenzialmente più aggresive del primitivo) continuerebbe a rappresentare l’ostacolo alla guarigione definitiva. Inoltre, l’esperienza ha dimostrato che quando c’è una metastasi è assai probabile che ve ne siano altre, ancora piccole, in giro per il corpo. Queste micro-metastasi sono ancora invisibili ai nostri mezzi di indagine (che hanno un “potere di risoluzione”, come si dice, di poco inferiore al cm..) e si riveleranno clinicamente nei mesi successivi l’intervento.
La descrizione del caso di tuo papà mi fa sorgere però un dubbio: è stata fatta la determinazione delle mutazioni EGFR ed ALK?… E queste analisi sono risultate negative?…
Se, sì nulla da dire: lascia che venga continuato il tratamento il trattamento in corso.
Se no, pretendi che vengano fatti i test cui accennavo prima (EGFR e ALK): esistono terapie specifiche che, in presenza di queste mutazioni, sono altamente efficaci (https://www.alcase.it/educational/premessa-farmaci-mirati/). Tali test sono raccomandati dalle più autorevoli società medico-scientifiche, ed ad esse tutti i medici dovrebbero attenersi. Come ALCASE, ne abbiamo ampiamente parlato in una serie di due articoli: https://www.alcase.it/2013/04/linee-guida-internazionali-egfr-al/ e https://www.alcase.it/2013/05/linee-guida-internazionali-egfr-alk-2/ .
Bene. Spero di essere stato chiaro e anche utile.
Cordialmente,
Gianfranco Buccheri