Significato clinico del CEA-test
“Gentile dottore, mio padre (76 anni) affetto da adenocarcinoma moderatamente
differenziato, ha fatto prima dei cicli di chemio, da novembre scorso prende
una pasticca al giorno di Tarceva150. Devo dire che sta benone, ma il
marcatore CEA cresce. Perché secondo lei? Grazie infinite per il Vostro
servizio.” contelu59@libero.it
Gentile Sig.ra/Sig.re,
Il marcatore CEA, o Antigene Carcinombrionario, è normalmente presente nel feto in gestazione (donde il nome) e si riscontra elevato anche in alcuni tumori. Fra questi, vi è certamente il carcinoma polmonare non a piccole cellule (CPNPC) ed, in particolare, l’adenocarcinoma del polmone (lo stesso tipo istologico di suo papà).
Quando è elevato alla diagnosi esso consente di seguire abbastanza bene il decorso della malattia, elevandosi in caso di progressione e diminuendo in caso di risposta al trattamento. Ciò è stato dimostrato chiaramente in centinaia di lavori clinici, qualche decina dei quali fanno capo al nostro gruppo di studio. La rimanderei a una pagina WEB dove la nostra attività di ricerca è compendiata, nel caso lei volesse approfondire l’argomento (http://www.alcare.it/risultati.html).
Ma, lei mi domanderà: un CEA che cresce è sempre segno di progressione di malattia?… No, naturalmente. Un incremento progressivo del CEA (soprattutto se di livello elevato -ad esempio, se maggiore di 10 ng/ml alla diagnosi- ed in crescita di 5-20 ng ad ogni ripetuto controllo), non è diagnostico, da solo, ma è assai indicativo che, diciamo così, le cose non vanno proprio bene. Noi medici diciamo che la predittività diagnostica positiva del test è nell’ordine dell’80%. Il che vuol dire che ci sono 80 probabilità su 100 di essere nel giusto ritenendo che la malattia sia effettivamente in progressione (quando il CEA cresce come accennavo prima).
Questi dati di predittività sono ovviamente delle medie ed è chiaro che essi sono maggiori o minori a seconda della presenza o meno di altri indicatori clinici sfavorevoli, senza, per questo, mai arrivare ad azzerarsi. Nel caso di suo papà, ad esempio, le condizioni generali particolarmente buone potrebbero ridurre il potere predittivo del marcatore al 60-70 %. A questo riguardo, ricordo sempre di aver avuto una giovane paziente che ha vissuto benissimo dopo un intervento riuscito, con un CEA che continuava a salire e nonostante i suoi medici (noi) continuavamo a richiedere periodici, complessi accertamenti clinici… Quella sfortunata signora ebbe una evidente recidiva della sua malattia, ma solo dopo 3 anni dall’intervento, e dopo che tutti gli altri esami clinici (anche i più sofisticati) rimasero inesorabilmente negativi durante tutto quel tempo.
Che fare nel suo caso?… Io dierei di continuare a monitorare il CEA ematico, continuare a controllare regolarmente il paziente con visite specialistiche ed esami (che saranno più attenti e scrupolosi del solito) e… sperare di trovarsi fra quei 30-40 casi su cento in cui il CEA è erroneamente alto.
Se -e finchè- il papà si sentirà bene, io suggerirei di continaure il trattamento con Tarceva, come se nulla fosse.